PARLARE DI MORTE AI BAMBINI

Parlare di morte ai bambini

 

La morte fa parte della vita. Questa è la verità. Proteggere i bambini dall’idea della morte o da un lutto non aiuta a viverli meglio, anzi peggiora spesso il contatto con l’esperienza dolorosa e la sua conseguente elaborazione. Oltre al fatto di voler proteggere i figli da contenuti dolorosi, spesso l’adulto ha l’idea che il bambino sia incapace di comprendere la morte. Gli studi di Bowlby su questa tematica dimostrano in realtà che i bambini soffrono e vivono il lutto in maniera simile agli adulti, anche se può cambiare la modalità in cui manifestano la loro sofferenza.

Come parlare di morte ai bambini?

Parlare di morte ai bambini non è semplice, specie se si tratta del lutto di una persona cara. I bambini prima o poi pongono domande dirette sull’argomento. Può diventare più semplice gestirlo se si seguono alcune indicazioni.

  1. Rispondere a tutte le domande che vengono poste. Evitare l’argomento, essere evasivi o non rispondere alle domande sulla morte significa lasciare spazio all’immaginazione dei bambini che potrebbero fantasticare anche cose terribili e temibili, a volte peggiori della realtà. È bene evitare frasi del tipo: “ora è presto per capire, quando sarai più grande ne riparleremo”, “è difficile risponderti”.
  2. Evitare di associare la morte al sonno e alla scomparsa. Nel tentativo di spiegare in maniera più soft il fatto che una persona o un animale non ci sono più è possibile che vengano utilizzate espressioni come “si è addormentato per sempre” o “è andato via, lontano e non torna più”. Il rischio di usare frasi di questo genere è che il bambino tema che dal sonno ci si possa non svegliare più o che chi parte possa non tornare.
  3. Parlare con sincerità. Per un credente è sicuramente più semplice spiegare la morte e la possibilità di una continuità oltre la vita terrena. Per un non credente la questione è più complicata. Per quanto sia più rassicurante dire “il nostro cagnolino è andato in cielo a riabbracciare la sua mamma”, è importante essere coerenti con le proprie credenze. Perciò, senza essere brutali, possiamo per esempio dire: “alcuni credono che chi muore vada in paradiso, io non lo so dove vanno i cagnolini quando muoiono”.
  4. Essere rassicuranti. Essere chiari e sinceri rispettando i propri valori e le proprie credenze non significa essere crudi. Un genitore non credente, per quanto non voglia utilizzare espressioni come “paradiso” e “cielo”, è bene che non faccia ricorso a frasi come “con la morte tutto finisce”. I bambini, specie quelli più piccoli, farebbero fatica a comprendere e quelli più grandi potrebbero intimorirsi e avere paura. In questo caso possiamo utilizzare esempi che richiamano i processi della natura, come per esempio le foglie che cadono dagli alberi, i fiori che nascono e poi muoiono.
  5. Mantenere un’idea di continuità. La morte rappresenta un evento irreversibile difficile da accettare per chiunque. Così come per noi adulti è rassicurante pensare che la persona scomparsa in qualche modo continuerà a vivere dentro di noi o attraverso un segno che ha lasciato, allo stesso modo è importante che i bambini conservino l’idea di continuità. Alcuni riti, come seppellire insieme il pesce rosso, o alcune azioni come andare al cimitero a trovare la nonna e raccontarle com’è andata la partita di pallone possono essere un modo per dare continuità al rapporto.

È giusto far partecipare un bambino ad un funerale?

Evitare di portare un bambino ad un funerale è un gesto di protezione mirato ad evitare un contatto diretto con il dolore e con il lutto. In generale il suggerimento è quello di affrontare l’esperienza anche con i bambini, preparandoli al rito del funerale. Il lutto è un’esperienza dolorosa, su questo non c’è dubbio. Chiediamoci se evitare che i bambini sperimentino dolore sia la soluzione di fronte ad una perdita. Il dolore è un’emozione, che al pari di altre merita l’accesso e di essere vissuta così come la persona sente di volerla vivere.

È giusto aspettarci che un bambino soffra “in un certo modo” rispetto ad un lutto?

Per arrivare all’accettazione dell’esperienza del lutto non ci sono reazioni indispensabili o necessarie. Le ricerche degli ultimi anni ci dicono che l’unica cosa che può ostacolare l’esperienza di accettazione è criticare, colpevolizzare o delegittimare ciò che la persona prova. La perdita e il dolore sono esperienze personali che possono essere vissute con molta o poca angoscia, con pianto o apatia. Qualunque sia la reazione messa in campo, questa non è dannosa o di ostacolo all’accettazione. Piuttosto è controproducente porre attenzione al fatto che non si sta provando “abbastanza dolore” o spingere qualcuno a “sentirsi più a contatto con l’esperienza della perdita”, o ancora far notare che “è il momento di non piangere più”. Il tema della morte a volte è più ansiogeno per i genitori che per i figli.  Mia figlia di 4 anni un giorno mi ha chiesto: “è vero mamma che tra poco nonna Carmela la mettono sotto terra?” Nonna Carmela è la sua bisnonna di 88 anni.

La morte e le conseguenze sul sonno dei bambini

Il lutto è un’esperienza significativa e per i bambini, specie quelli più piccoli, rappresenta un contenuto “nuovo” che nel suo aspetto di irreversibilità è ancora più difficile comprendere. Uno dei timori che spinge i genitori a proteggere i piccoli dal dolore legato al lutto è la paura che l’esperienza emerga in maniera angosciante nel sonno, causando “brutti sogni” o difficoltà dei bambini a dormire da soli, per esempio. Il “contenuto angosciante” di un lutto è legato a diversi fattori. Il modo in cui se ne parla, la possibilità di ricevere risposte chiare e soddisfacenti, essere rassicurati, sono aspetti importanti che consentono al bambino un contatto “vero” e reale con l’esperienza. Evitare l’argomento o essere evasivi rischia di passare il messaggio che la questione è così terribile che non se può parlare. È a questo punto che la mente potrebbe produrre fantasie temibili e paurose, specie durante la notte.

 

Tuo figlio ti ha mai posto domande sulla morte?

Di che tipo? 

Bibliografia

Perdighe C. (2015), Il linguaggio del cuore. Trento, Erikson.

Brazelton T.B. (2017), Il bambino da 0 a 3 anni. Monza, Rizzoli